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Cassazione: lesioni colpose per il padrone se i cani scappano dal cancello aggredendo passante

Per gli Ermellini non c’è alcun dubbio sulla responsabilità del proprietario per omessa custodia degli animali, tanto più che l’uomo aveva ignorato le richieste di tenere chiuso il cancello di casa

di Marina Crisafi – Che succede se i cani scappano dal cancello di casa e aggrediscono un passante? Il padrone è responsabile per lesioni colpose. Lo ha sancito la quinta sezione penale della Cassazione (con la sentenza n. 3873/2018 sotto allegata), confermando la condanna a carico del proprietario di quattro cani che uscendo dal cancello avevano aggredito un passante.

La vicenda

Per l’uomo, la sentenza del tribunale di Cassino che confermava la sua condanna per il reato di lesioni colpose ai danni di un passante, aggredito dai quattro cani di sua proprietà era erronea, in quanto la responsabilità era basata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, e senza l’allegazione di un elemento dimostrativo della proprietà dei cani in capo ad esso e alla sua connessa posizione di “vigilanza”.

Cani scappano dal cancello e mordono, reato di lesioni colpose per il padrone

Ma dal Palazzaccio rispondono picche. Per i giudici della S.C. infatti il ricorso è manifestamente infondato e sul punto della valutazione della deposizione della persona offesa, le cui dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità penale dell’imputato, e sul spunto della proprietà dei cani, mai contestata dallo stesso.

Nessun dubbio, dunque, sulla posizione di garanzia facente capo sull’uomo, “che lo obbligava a controllare e custodire i suoi cani, adottando ogni cautela per evitare e prevenire possibili aggressioni a terzi, anche all’interno dell’abitazione”. Per di più allo stesso, era stato chiesto più volte di assicurare la chiusura del cancello per evitare l’uscita degli animali, e l’aggressione era conseguenza del suo comportamento omissivo. Per cui sentenza confermata oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali e ad una somma di 2mila euro in favore della cassa delle ammende.

Cassazione, sentenza n. 3873/2018

 

Fonte: Cassazione: lesioni colpose per il padrone se i cani scappano dal cancello aggredendo passante
(www.StudioCataldi.it)

Affitti: basta una sola rata non pagata per lo sfratto

Il Tribunale di Genova ricorda che la valutazione della gravità e dell’importanza dell’inadempimento del conduttore è ancorata a parametri fissati dalla legge
 

di Valeria Zeppilli – Lo sfratto dell’inquilino può avvenire anche a seguito del mancato pagamento di una sola rata del canone pattuito, poiché si tratta di un’omissione che deve essere considerata come grave inadempimento.

Con la sentenza numero 355/2017 qui sotto allegata, a tal proposito, il Tribunale di Genova ha infatti posto l’accento sul disposto normativo di cui all’articolo 5 della legge numero 392/1978 in materia di locazioni di immobili ad uso abitativo, ricordando che esso prevede un criterio in forza del quale l’inadempimento dell’obbligazione del conduttore di pagare il canone di affitto soggiace a una predeterminazione legale di gravità che non lascia al giudice del merito la possibilità di svolgere accertamenti ulteriori e concreti. In altre parole, la valutazione della gravità dell’inadempimento del conduttore e della sua importanza avuto riguardo all’interesse del locatore è ancorata a parametri predeterminati dalla legge e non è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudicante. 

Il Tribunale, andando più nel dettaglio, ha poi ricordato che la predetta predeterminazione legislativa è fatta dalla norma utilizzando un parametro ancorato a due elementi: il primo di ordine quantitativo e da riferirsi al mancato pagamento di una sola rata del canone o degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone, il secondo di ordine temporale e avente ad oggetto il ritardo consentito o tollerato nel pagamento.

Nel caso di specie la proprietaria, agendo in giudizio, aveva prodotto il contratto di locazione, documentando così l’esistenza dell’obbligazione gravante in capo alla conduttrice di pagare i canoni di locazione e gli oneri accessori nella misura risultante dal contratto e così assolvendo all’onere probatorio gravante sul creditore nelle azioni di risoluzione del contratto, avente ad oggetto esclusivamente l’esistenza del titolo e non l’inadempienza dell’obbligato.

L’inquilina, dal canto suo, non si era costituita e non aveva provato alcun fatto impeditivo, modificativo o estintivo delle obbligazioni assunte, con la conseguenza che, anche in virtù dell’ampio superamento del parametro legale di gravità dell’inadempimento posto in essere, il Tribunale non ha potuto far altro che dichiarare risolto il contratto di locazione e ordinare il rilascio dell’immobile termine dilatorio di 60 giorni.

Tribunale di Genova testo sentenza numero 355/2017

Fonte: Affitti: basta una sola rata non pagata per lo sfratto
(www.StudioCataldi.it)

Condominio: balconi e frontalini, chi paga le spese di riparazione?

Cosa dice il codice civile e le decisioni della giurisprudenza
 
 
Avv. Daniele Paolanti – Le spese di riparazione in ambito condominiale rappresentano un campo particolarmente delicato sotto il profilo giuridico tant’è che sovente l’autorità giudiziaria è chiamata a pronunciarsi circa le dispute che eventualmente possono sorgere. Tra le controversie che maggiormente hanno interessato la giurisprudenza vi è soprattutto la questione delle spese di riparazione dei balconi e dei frontalini, soprattutto perché ci si interroga se gli stessi siano delle estensioni della proprietà esclusiva del condomino oppure se, stante la loro natura, si debba ritenere che gli stessi siano degli elementi accessori della facciata e di conseguenza, parti comuni dell’edificio o di interesse comune. Esordiamo dapprima con la disamina della disciplina legislativa per poi approcciare alle più interessanti risolutive pronunce giurisprudenziali. 

La norma

Parametro normativo di riferimento in materia di parti comuni dell’edificio è l’art. 1117 c.c. il quale così dispone: “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche“. Come appena detto, la giurisprudenza è tendenzialmente proclive a ritenere che la valutazione che deve essere compiuta ai fini dell’attribuzione dell’onere delle spese non può prescindere da una valutazione oculata del caso concreto, che consenta di comprendere se i balconi debbano ritenersi una mera estensione della proprietà del singolo condomino oppure se, data la loro stretta pertinenza con la facciata, se essi non siano parti comuni o di interesse comune. Ovviamente rientrano nella prima ipotesi tutti quei casi in cui l’intervento sia mirato ad agevolare l’utilizzo del balcone da parte del singolo proprietario mentre rientrano nel secondo campo tutti quei casi in cui il bene debba essere rivalutato in relazione alla sua funzione di concorrenza al decoro ed allo stile armonioso ed architettonico della facciata.

La giurisprudenza

La Suprema Corte ha autorevolmente ammesso sul punto che “Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, infatti, in tema di condominio negli edifici, i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; laddove devono considerarsi beni comuni a tutti i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (Cassazione 19 maggio 2015, n. 10209). Ancora, sempre la Suprema Corte, ha rilevato che i frontalini possono ritenersi beni comuni laddove si inseriscano nella facciata e concorrano a costituire il decoro architettonico dell’immobile (Cass. n. 1784/2007).ì

Fonte: Condominio: balconi e frontalini, chi paga le spese di riparazione?
(www.StudioCataldi.it)