Avvocato lavora quasi gratis? Scatta l’illecito disciplinare
L’avvocato che pubblicizza compensi simbolici per prestazioni professionali forensi, attraverso il canale internet, è assoggettabile a censura.
Lo ha stabilito la sentenza 21 giugno 2018 – 23 aprile 2019, n. 23 (testo in calce) emanata dal Consiglio Nazionale Forense, così avallando il dictum territoriale reso dal COA di Pescara.
Il legal marketing incriminato
Un avvocato, iscritto all’Ordine di Pescara, si era reso autore di una brochure che riportava il titolo “risarcimento danni medici”, e al proprio studio legale risultava riferibile un portale web denominato “risarcimento danni medici”, dai cui contenuti on line emergeva l’offerta di prestazioni professionali forensi “senza anticipi, senza spese, senza rischi e, soprattutto, in tempi brevissimi”, definibili, a quanto si poteva apprendere on line, “entro 240 giorni invece di attendere i soliti 4-5- 6 anni!” Dai contenuti telematici editati, si leggeva che lo stesso avvocato offriva ai clienti condizioni negoziali peculiari, quali il corrispettivo legato al risultato ottenuto, come pure avrebbe rinunziato al compenso nel caso ove il cliente non avesse incassato il risarcimento.
Il disciplinare davanti al COA
Il procedimento disciplinare principiava sia per la violazione del divieto di accaparramento della clientela che per la condotta offensiva della dignità e del decoro della professione, all’esito del quale veniva irrogata la sanzione della censura.
Il ricorso al CNF
L’avvocato impugnava la decisione al CNF, ancorando la difesa ai principi che regolano la liberalizzazione delle professioni, come pure quelli afferenti alla libertà di pubblicità informativa e all’abolizione del divieto di pubblicizzare titoli, evidenziando peraltro che l’opera di marketing contestata era riferibile alla pubblicità informativa e non comparativa.
La conferma del dictum territoriale
Secondo il CNF il COA di Pescara ha ritenuto, in modo corretto, costituire illecito disciplinare non lo svolgere la pubblicità professionale, che peraltro risulta illegittima nel suo aspetto informativo e promozionale, bensì le modalità, come pure il contenuto di un messaggio caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico e dalla marcata natura commerciale dell’informativa.
Il contrasto col decoro e la dignità professionale
Il CNF evidenza che la mancanza di conformità, della condotta contestata, alla dignità e al decoro professionale, non discende dalla circostanza della mera ricerca di clientela, bensì dall’indulgere ad autoreferenzialità mediante l’enfatizzazione delle attività dello studio, ed anche per l’impiegare mezzi suggestivi ed autoelogiativi preordinati ad attirare l’attenzione degli utenti non particolarmente avveduti.
L’impatto del cd. decreto Bersani
Per quanto concerne le liberalizzazioni evocate dal ricorrente e riferibili alla Legge n. 248 del 2006 e al D.L. n. 138 del 2011, il CNF richiama il proprio precedente n. 8 del 2017, dove si era affermato che i principi in tema di pubblicità, di cui al decreto Bersani, pur consentendo all’avvocato di fornire specifiche informazioni sia in ordine all’attività che ai servizi professionali offerti, al contempo non legittimano una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici, giacché la peculiarità e la specificità della professione forense, impongono, in linea con la normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di giustizia, le limitazione connesse alla dignità e al decoro della professione, la cui verifica risulta dall’ordinamento affidata al potere dovere dell’ordine professionale.
La congruità della censura
Infine, il CNF ha ritenuto congrua la sanzioni della censura, atteso lo spiccato e quasi esclusivo carattere commerciale e non informativo del messaggio pubblicitario esaminato e la conseguente evidenza della discordanza e della distanza, del relativo contenuto, rispetto ai principi deontologici.
CNF, SENTENZA N. 23/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF
Fonte: Altalex.com