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Cassazione: anche i figli cinquantenni hanno diritto agli alimenti

Se la loro situazione di bisogno è comprovata e ogni tentativo di uscirne è risultato infruttuoso, hanno diritto a ottenere gli alimenti
 
di Valeria Zeppilli – Se il figlio ha bisogno di aiuto, i genitori devono aiutarlo a prescindere da quale sia la sua età.

Lo sa bene un’anziana donna che ha visto confermata anche in Cassazione la propria condanna a versare in favore del figlio ultracinquantenne 300 euro al mese a titolo di assegno alimentare.

Con la sentenza numero 9415/2017 (qui sotto allegata), i giudici hanno posto fine a una controversia giudiziaria durata oltre venti anni, all’esito della quale ad avere la meglio è stato il figlio, maturo ma disoccupato, nonostante abbia quasi completato il percorso di studi per ottenere la laurea in giurisprudenza e si sia diplomato in violino in conservatorio.

 

Le motivazioni alla base del riconoscimento del diritto dell’uomo ad ottenere gli alimenti dall’anziana madre si leggono chiaramente nella sentenza di appello, nella quale il giudice del merito ha ritenuto raggiunta la prova della sussistenza del presupposto della prestazione alimentareconsiderando la sua situazione di bisogno e le infruttuose: – disponibilità a tenere lezioni di violino e svolgere attività di attacchinaggio, – iscrizione all’ufficio di collocamento, – richiesta di essere richiamato a svolgere il servizio militare, – partecipazione a un concorso pubblico bandito dal Ministero della Giustizia. In corso di causa, inoltre, è emerso che la condizione soggettiva dell’uomo è gravemente compromessa dall’essere egli affetto da seri problemi psicologici e relazionali.

A fronte di queste e altre circostanze, pacifiche e comprovate, e ritenuti infondati tutti e quattro i motivi proposti dalla mamma in Cassazione per la riforma della sua condanna, la donna deve ora rassegnarsi a pagare e a continuare, quindi, a mantenere il figlio nonostante la sua età avanzata.

Corte di cassazione testo sentenza numero 9415/2017

Fonte: Cassazione: anche i figli cinquantenni hanno diritto agli alimenti
(www.StudioCataldi.it)

Gli sms dell’amante giustificano la separazione con addebito al marito

La Corte d’appello di Milano ha rigettato i gravami delle parti avverso l’impugnata sentenza del Tribunale della stessa città che, nel giudizio di separazione personale dei coniugi E. C. e F. V., aveva addebitato la separazione al marito, aveva affidato i figli minori M. e G. al Comune di Milano, li aveva collocati presso la madre e aveva posto a carico del C. un assegno di euro 2000,00 al mese in favore della moglie e un contributo di mantenimento per tre figli di euro 3000,00 mensili, oltre al pagamento della globalità delle spese straordinarie concordate tra le parti.

La Corte ha giustificato l’addebito per la violazione dell’obbligo di fedeltà, in ragione della scoperta, nel novembre 2007, di messaggi amorosi pervenuti sul cellulare di C..

Con riguardo alle statuizioni economiche, la Corte ha ritenuto giustificate l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno in favore della V. e dei figli, in considerazione dell’elevato tenore di vita dei coniugi durante la vita matrimoniale e della sproporzione reddituale tra le parti, anche tenendo conto della capacità lavorativa della stessa V., non tale comunque da giustificare un incremento dei contributi economici a carico del marito; ha compensato le spese del grado di giudizio.

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione, in via principale, il C. e in via incidentale la V..

Preliminarmente, la Suprema Corte osserva che la sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Milano, passata in giudicato (la quale ha determinato in euro 1300,00 l’assegno divorzile a suo carico e in euro 2800,00 l’assegno di mantenimento per i figli, oltre alla metà delle spese straordinarie). Al riguardo si osserva che la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione) iniziato anteriormente e ancora pendente, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, che trovano il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Con il primo motivo di ricorso principale, il C. denuncia la violazione dell’art. 151, comma 2, c.c., per avere dichiarato l’addebito come conseguenza automatica della violazione dell’obbligo di fedeltà, senza che tale violazione fosse stata causa diretta della crisi coniugale.

Il profilo in esame non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha giustificato l’addebito rilevando che la violazione dell’obbligo di fedeltà era stata causa della crisi coniugale, come evidenziato dal fatto che la scoperta della infedeltà era avvenuta nel 2007, cioè successivamente alla riconciliazione intervenuta nel 2002.

Il ricorrente chiede, in sostanza, una rivisitazione del giudizio di fatto concernente l’accertamento della responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza, che è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità.

Il secondo motivo si articola in due profili connessi, entrambi inammissibili.

Il primo profilo denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, c.c. e 111, comma 6, Cost., in ordine alla motivazione, ritenuta contraddittoria, sul riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore della V., per avere mal valutato la situazione reddituale delle parti e l’entità del patrimonio del C. e per avere omesso di considerare i documenti prodotti che dimostravano il peggioramento delle sue condizioni economiche.

Il secondo profilo denuncia la violazione dell’art. 156, comma1, c.c. per avere motivato in modo contraddittorio sulla capacità reddituale della V. e per avere dato rilievo a un fatto non previsto dalla legge, e non vero, come l’abitudine del marito in costanza di matrimonio di addossarsi le spese di famiglia in misura preponderante.

Entrambi i profili si risolvono in critiche all’accertamento dei redditi delle parti, ai fini della concreta determinazione dell’assegno di mantenimento, che è compito riservato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità), in presenza di motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

Il motivo, pur prospettando violazione di norme di diritto, si risolve nella critica della sufficienza del ragionamento logico esposto dal giudice di merito e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli elementi probatori del processo, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibileIl terzo motivo denuncia la violazione dei suindicati parametri normativi, nonché dell’art. 337 ter, comma 4, c.c., per avere motivato sul quantum, ritenuto eccessivo, dell’assegno di mantenimento dei figli senza rispettare il parametro normativo da ultimo indicato che impone di valutare le risorse di entrambi i genitori; i giudici di merito avrebbero erroneamente considerato florida la situazione reddituale del C., senza confrontarsi con le produzioni documentali né considerare le ingenti disponibilità economiche della V..Il motivo è inammissibile, per ragioni analoghe a quelle poc’anzi esposte in ordine al precedente motivo.

Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di gravame riguardante la condanna del C., disposta dal primo giudice, al pagamento delle spese del giudizio di primo grado e per non avere considerato la sussistenza di giusti motivi di compensazione totale o parziale.

Il motivo è infondato, in ordine alla censura di omessa pronuncia: la sentenza impugnata, infatti, avendo confermato la soccombenza del C., ha implicitamente rigettato il motivo sulle spese; esso è inammissibile nella parte in cui invoca la compensazione delle spese del giudizio di primo grado.

Venendo al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per avere condizionato l’operatività dell’obbligo del C. di farsi carico delle spese straordinarie al suo consenso, di fatto sempre negato, con l’effetto di sottrarre ai figli una parte del contributo di mantenimento posto a suo carico.Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una istanza di revisione del giudizio di congruità del contributo posto a carico di C. in relazione alle spese straordinarie per i figli.

Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale con cui la V. aveva chiesto di convertire in una misura fissa la parte variabile del contributo di mantenimento per i figli.

Il motivo è infondato, avendo i giudici di merito implicitamente pronunciato sul motivo respingendolo.La Suprema Corte ha così rigettato entrambi i ricorsi.

La sentenza che si annota merita di essere segnalata per due ordini di ragioni.

Anzitutto, viene ribadito l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione), ove esista un interesse di una parte all’operatività della pronuncia, con i conseguenti provvedimenti patrimoniali: l’obbligo di corresponsione dell’assegno di separazione trova infatti il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. 

Inoltre, si conferma il principio secondo cui, in tema di separazione personale dei coniugi, l’indagine sulla intollerabilità della convivenza e sulla sua addebitabilità – che è riservata al giudice del merito e, se sorretta da congrua e coerente motivazione, non è censurabile in sede di legittimità – non può basarsi sull’esame di singoli episodi di frattura o contrasto, ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal complesso delle emergenze processuali; con la conseguenza che la violazione del dovere di fedeltà non legittima, di per sé, la pronuncia di separazione con addebito al coniuge adultero, ma deve porsi in relazione causale con la rottura dell’unione matrimoniale. Il che è proprio quanto si è verificato, secondo i Giudici di merito, nella fattispecie in esame, nella quale la scoperta dei messaggi amorosi dell’amante del marito non ha affatto aggravato una crisi già in essere, ma si è posta come causa della crisi, essendo avvenuta successivamente alla riconciliazione tra i coniugi, avvenuta nel 2002.

Sul tema si segnala:

  • Mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, de Filippis Bruno, Pisapia Mariagrazia, CEDAM, 2017;
  • La famiglia in crisi, a cura di Cassano Giuseppe, Oberto Giacomo, CEDAM, 2016;
  • Diritto di famiglia – Formulario commentato, a cura di Corder Paolo, Cubeddu Wiedemann Maria Giovanna, IPSOA, 2016;
  • I nuovi modelli di famiglia: dalla nascita allo scioglimento, Beccari Dilma, ALTALEX EDITORE, 2016.

(Altalex, 23 marzo 2017. Nota di Antonio Scalera tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)

Atto tributario notificato a persona diversa dal destinatario, quali conseguenze?

Cassazione Civile, sez. tributaria, sentenza 02/02/2017 n° 2868

In caso di notifica dell’atto tributario a persona diversa dal destinatario è obbligatorio l’invio e la ricezione della lettera raccomandata “informativa” al contribuente.

In tema di notifica dell’atto tributario nella fattispecie di consegna del provvedimento a mani di persona diversa dal destinatario (nel caso in parola, si trattava del coniuge), a mente dell’art. 60, lett. b-bis, D.P.R. n. 602/73, “è necessario”, ai fini del perfezionamento notificatorio, “l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione”.

I fatti della causa

Il contenzioso fiscale in commento nasceva dal ricorso presentato dal contribuente avverso la cartella esattoriale di Equitalia, in ordine alla quale lamentava la mancata notifica dell’avviso di accertamento prodromico, in violazione dell’art. 60, b-bis cit.

In effetti, la norma in commento dispone: “la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita” in virtù dell’art. 137 c.p.c. e seguenti, tuttavia “con le seguenti modifiche”, ossia la lettera b-bis) stabilisce che “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto […] il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”[1].

A ben vedere, richiamando la norma in questione, i giudici di appello della C.T.R. del Piemonte, con la sentenza n. 46/11, confermavano la decisione adottata dalla C.T.P. di Novara: “la redazione da parte del messo notificatore della raccomandata informativa [art. 60, lett. b-bis cit.] è indispensabile per portare a termine il procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento, effettuato al domicilio del contribuente a mani del coniuge convivente, soggetto diverso dal destinatario”.

Avverso tale provvedimento, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione

Il panorama normativo in commento è estremamente lineare e puntuale, in materia di notifica degli avvisi di accertamento, nonché delle cartelle esattoriali (art. 26, D.P.R. n. 602/73).

Il citato art. 60, al comma 1, stabilisce che il procedimento notificatorio “degli avvisi e degli altri atti” da notificare al contribuente è governato dagli artt. 137 e seguenti del c.p.c., sebbene con talune modifiche, ovverosia – come già anticipato precedentemente – laddove l’atto tributario/esattivo sia consegnato a persona diversa dal destinatario, il messo deve inoltrare formale “notizia dell’avvenuta notificazione”, mediante “lettera raccomandata” al contribuente interessato.

Orbene, secondo i giudici della Suprema Corte, “il tenore letterale della disposizione configura la raccomandata informativa come un adempimento essenziale del procedimento di notifica”.

Del resto, sempre la Corte di Cassazione, al pari delle notifiche per “irreperibilità relativa” (art. 140 c.p.c. – art. 26, comma 4, D.P.R. n. 602/73), sulla base delle pronunce della Corte Costituzionale, n. 3/10 e n. 258/12, ha osservato che anche in quelle con consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario, la notifica si perfeziona quando sono stati “effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione”[2].

In particolare, l’art. 60 cit. non solo trova applicazione per le notifiche degli avvisi di accertamento, bensì anche per le cartelle esattive (ad esempio quelle di “competenza” dell’Agente della Riscossione – Equitalia), nonostante taluni dinieghi manifestati dalla giurisprudenza di merito, peraltro sprovvisti di alcun sostegno normativo.

E’ opportuno rammentare che l’ultimo comma dell’art. 26, D.P.R. n. 602/73 stabilisce il seguente precetto: “per quanto non è regolato dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’art. 60” cit.; sostanzialmente, in assenza di espressa previsione all’interno del richiamato art. 26, anche per le cartelle di pagamento è obbligatorio l’invio e la ricezione della c.d. lettera informativa in caso di consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario, indipendentemente dalla qualifica del soggetto consegnatario.

A maggior chiarimento del quadro normativo, lo speculare art. 139 c.p.c., comma 4, prevede l’obbligo (a carico del notificante) di dare notizia dell’avvenuta notifica al destinatario, laddove venga consegnata la copia dell’atto al “portiere” o al “vicino” di casa; tuttavia, tale norma – è opportuno ribadirlo – non può trovare applicazione nelle notifiche degli atti tributari o esattivi (avvisi di accertamento, cartelle esattoriali, etc.).

Proprio su tale aspetto, infatti, vero è che l’art. 60, comma 1, D.P.R. n. 600/73, richiama specificatamente la normativa prevista dagli artt. 137 e seguenti del c.p.c., ma lo stesso comma impone l’adozione di precise modifiche, tra cui – come illustrato – l’obbligo di dare notizia al destinatario della consegna dell’atto a persona diversa, senza prospettare alcuna distinzione tra il consegnatario appartenente alla categoria del portiere/vicino di casa o meno.

In conclusione, nella notifica di atti tributari (di qualsiasi natura, sia essa accertativa oppure esattoriale), avvenuta a mani di soggetto diverso dal destinatario (art. 60, lett. b-bis, cit.), il messo è obbligato a trasmettere notizia della notifica dell’atto/avviso per mezzo di invio ed effettiva ricezione della c.d. lettera informativa a favore del contribuente; in assenza o in difetto di tale incombente, il procedimento notificatorio si considera come nullo e privo di alcun effetto giuridico nei confronti dell’interessato, stante la natura recettizia dei provvedimenti amministrativi[3].

Sul tema si segnala:

  • Codice del processo tributario annotato,  Chizzini Augusto, Glendi Cesare, IPSOA, 2016.

(Altalex, 7 aprile 2017. Nota di Federico Marrucci)

________________

[1] Tale obbligo è stato introdotto dall’art. 37, comma 27, lett. a), D.L. 4.07.2006, n° 223, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4.08.2006, n° 248: la disposizione si applica dal 4.07.2006.

[2] Cass. n. 25079/14: i giudici della S.C. hanno stabilito che la “raccomandata informativa” (ex art. 140 c.p.c.), costituisce adempimento indefettibile per il perfezionamento della notificazione di atti tributari (nella specie, cartella di pagamento) a destinatari temporaneamente irreperibili. Secondo l’autorevole commento dell’Avv. Mariagrazia Bruzzone (cfr. Corriere Tributario, 6/2015, p. 460 “La notifica è giuridicamente inesistente senza la ‘raccomandata informativa’”), la citata raccomandata “non rappresenta una mera comunicazione, ma una comunicazione a mezzo posta connessa con la notificazione di atti tributari indirizzati a destinatari temporaneamente irreperibili”. In breve, la notifica si perfeziona con “l’effettiva ricezione” della raccomandata informativa, “non essendo sufficiente la sola spedizione”. Su tale argomento si veda anche il commento, anch’esso prestigioso, del Prof. Avv. Cesare Federico Glendi sulla sentenza della Corte di Cassazione, n° 11993/11 (cfr. GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 9/2011, p. 741 “L’evoluzione della giurisprudenza di vertice sulla rilevanza dell’avviso di ricevimento della c.d. raccomandata informativa ex art. 140 c.p.c.”).

[3] Cass. SS. UU., n. 19704/15.